Marco lavorava da un anno in una grande fiction prodotta dalla Rai. Era un beniamino del pubblico; queste storie di famiglia intrigavano molto. L’audience era alle stelle e così si sarebbe andati avanti per molto tempo ancora. Beh, era quasi un anno che non giocavano più insieme. Erano trascorsi due anni da quando si erano incontrati proprio in quel giardino pubblico e, fin da subito, erano diventati inseparabili. Giocavano, parlavano di tante cose: pensieri, paure, affetti. Elisa era una bambina speciale, una bambina solitaria, sfuggente, paurosa, perlopiù muta. Aveva iniziato a parlare tardi. Solo quando aveva conosciuto Marco era arrivato il “miracolo”: con lui comunicava ed era uscita del suo lungo silenzio. E così erano lì, al solito posto. Lei un poco immusonita, lui concentrato sulla scuola. “Marco!” Ecco, la madre era arrivata per accompagnarlo allo studio. Elisa si avviò malinconica con la sorella maggiore verso casa. Si girò per vedere se lui fosse ancora visibile e non si accorse del motorino che le veniva addosso. Marco, il giorno dopo, ai giardini, si accorse dell’assenza di Elisa, e dopo una settimana cominciò a farsi delle domande. Dopo due settimane — trascorse in fretta per via delle continue registrazioni televisive — decise di telefonare. E così seppe dell’incidente: sì, era uscita dal coma, ma non parlava ancora; debole, troppo debole, ma una breve visita all’ospedale si sarebbe potuta fare. Marco si presentò emozionato alla casa di cura per vedere una pallida Elisa che non lo salutò nemmeno. Sebbene lo desiderasse, non riuscì a tornare a trovarla, troppo impegnato nelle registrazioni. Finché: “Che succede, Marco non hai studiato la parte?”, si affannava il regista, vedendolo dimenticare le battute. E poi, quell’aria imbambolata, non più la sua famosa, incantevole espressione da piccolo orfanello perseguitato dalla sorte, un Oliver Twist dei nostri tempi, ma un piccolo, inespressivo robot. L’audience calava, il pubblico sghignazzava e i critici imperversavano crudelmente. Basta! Per risollevare le sorti della fiction, si decise di far morire il piccolo eroe. E questa sì che si rivelò una buona idea. Sarebbe subentrato un altro piccolo interprete, più capace di lui. Marco si finse afflitto per il licenziamento, ma approfittò subito del suo tempo libero per correre da Elisa. Era ancora lì, nel suo lettino grigio, assente, chiusa nel suo mutismo. Emozionato, si accostò e le strinse la mano. “Elisa!”, proruppe forte cercando il suo sguardo. Lei si girò e finalmente sorrise. “Allora, Elisa, devo dirti una cosa. Una cosa importante. Devi guarire, DEVI, perché ora ho tanto tempo libero per giocare con te, tutti i giorni, come prima.” “Tutti i giorni?” rispose finalmente Elisa, sollevandosi a sedere. “Sì, tutti i giorni, mi vuoi ancora come compagno o non mi vuoi?” Pensò a come era stato bravo a fingere di dimenticare le battute, ad assumere quell’aria inebetita, a essere legnoso nei gesti. Sì, era stata davvero una grande prova da attore. “Allora?” ripeté. Lei si mosse leggermente, strinse la sua mano. “Sì, ok", rispose con un filo di voce. “Ok”, ripeté Marco. "Ti do una settimana per rimetterti. Poi ci vediamo al solito posto. E porta la palla, che ti voglio stracciare!"
