L'appuntamento

Appuntamento sabato sera, a casa sua. Non lo vedo da tre mesi ma ci whatsappiamo almeno venti volte al giorno. Nel gruppo ci sono anche Amanda, la Tere, Paolino, Ciro e Daniele, la Baba e il Tigre. Gli altri non ci cagano ma chissene. Abbiamo passato un’estate fantastica. La nostra prima estate da ricordare. Abbiamo assaggiato la libertà, toccato con mano il paradiso… come dice il Jova, avevamo l’estate addosso! Del resto, quando si vive per venti giorni come una cosa sola, poi è difficile staccarsi, cioè manca proprio il contatto fisico, lo sfiorarsi, sentire il profumo e anche l’odore... Mamma mia, il Tigre che puzza! Eppure era il primo a chiamarci la mattina, passava sotto casa di ognuno di noi e poi partiva il nostro lungo girovagare giornaliero. Il bar della piazza, la vasca del paese, la pineta dopo il campo sportivo. E poi la spiaggia, lo svacco totale, la focaccia a chili, le ore sugli scogli, l’imbrunire, un salto a casa per dire che “Ehilà, sono ancora viva”, e ancora la sabbia sui piedi, il fuoco di ferragosto, i baci, le stelle. Una magia.

Mi chiedo come è possibile sopravvivere a tutto ciò e a rimanere felici. Fino a una settimana fa ero ancora completamente stordita, quasi assente, sguardo ebete, le compagne che mi prendono per scema – ma… chettelodico a fare – i miei un po’ preoccupati: credono di avere un fantasma in casa. Mio fratello poi, mi chiamerà cento volte al giorno perché fino a due mesi fa passavo ore e ore con lui, gli cambiavo il patello, gli facevo il bagnetto, lo addormentavo. Mi sa che gli manco un bel po’ ma in questo momento mi deve mollare. Non ci sto dentro. 

Poi fa freddo, è una settimana che piove, i prof snocciolano verifiche una via l’altra e in mate ho già preso un bel 4. In piscina, Renata ci sta facendo impazzire: quattro allenamenti alla settimana, fino alle 9. Arrivo a casa stremata, mangio da sola, chatto un’oretta e mi addormento vestita. E poi via, si riparte il giorno dopo, tutto grigio e ognuno qui dentro che si fa i cavoli suoi: mio padre che esce all’alba, mia madre che ha i turni, la sacca per la palestra sulle spalle. Ma sabato ci vediamo. E si torna a vivere… anche perché va bene WhatsApp ma se mi avesse chiamata una volta o fosse passato a prendermi almeno una volta fuori da scuola, avrei, come dire, apprezzato...

Uscita da scuola, ho accesso il cell ed è scoppiato il finimondo: 134 messaggi. Tutta una lista infinita di bottiglie da portare sabato. Manco fossimo la banda degli alpini di mio zio. Lui vuole assolutamente partire con la “scala di Vodka”, praticamente si parte dalla più annacquata e si arriva al Long Island. È invasato, è già tutto pianificato, un escalation nel delirio. La Tere ha già detto che non viene, che lei di raccogliere il vomito con lo straccio non ne ha voglia. Baba e il Tigre forse hanno una roba di classe e forse tirano il pacco. Ciro è a Napoli, e sabato è sugli spalti. Io ho scritto se era proprio necessario portare tutta quella roba, che magari due birre e i Coldplay a palla funzionano meglio e magari chiudendo gli occhi potremmo ritrovarci sulla spiaggia.. Lui ha risposto che potevo anche fottermi, io e la mia magia, che è ora di darsi una sveglia e di sballare come si deve. Alché anche Paolino ha scritto che magari è meglio vedersi tra un po’, quando ci saremo tutti, magari sotto Natale per scambiarci i regali. Lui ha iniziato a darci dei codardi tirapacchi. La chat si è fatta silenziosa, Amanda è uscita dal gruppo.

 

Tornata a casa, ho acceso Skype molto tardi, prima di andare a letto, e c’era un suo messaggio: “Scusa per prima, vediamoci io e te. Affanculo gli altri”. Non gli rispondo nemmeno. Sabato poi, i miei vorrebbero andare a cena da amici e mi hanno chiesto di tenere il piccolo. Quindi ce ne staremo io e lui davanti agli Aristogatti e tutti insieme – noi due – balleremo il jazz…