La collezione del signor Strato

Se amate le buone letture, lasciate perdere questa storia.

Io sgombro cantine e solai da quando ho tredici anni, non ho mai scritto nulla oltre alle bolle di accompagnamento né ho mai letto un libro per intero in vita mia. 

Non che me ne vanti, sia chiaro, ma preferisco avvisarvi prima che perdiate tempo nella speranza di imbattervi in narrazioni fantastiche, citazioni colte o frasi a effetto da riciclare per far colpo sulle ragazze.

Fatto sta che, lo scorso luglio, un tizio mi chiamò da non so dove; doveva affittare l’appartamento di Milano di suo nonno e mi chiese di liberargli urgentemente la cantina da tutte le cianfrusaglie. Se l’avessi fatto prima dell’estate, mi avrebbe riconosciuto trecento euro e in più avrei potuto tenere qualunque cosa avessi trovato lì dentro.

Quando uno che deve sgombrare una cantina ti dice che puoi tenerti qualunque cosa ci sia dentro, significa che sei fortunato se te la cavi con un viaggio in discarica. Comunque trecento euro sono trecento euro e accettai.

Il portiere del condominio mi fece entrare col furgone nel cortile e mi diede le chiavi della cantina del signor Strato.

La aprii, accesi la luce e mi ritrovai in una stanza piccolissima, lustra, con centinaia di pacchetti di diverse fogge e colori, ben sistemati su lunghi scaffali di alluminio. 

Nonostante le scatole fossero di dimensioni modeste (la più piccola sembrava una confezione di cerini mentre la più grande avrebbe contenuto a malapena un cellulare), ammassate, coprivano un’intera parete. E’ andata bene, pensai.

Scattai una foto col cellulare; avrei potuto vendere le scatole su ebay e guadagnarci qualcosa.

Ne presi in mano un po’. Erano nuove ed erano vuote.

Non ci misi molto ad accorgermi che ogni scatola era stata chiusa con un adesivo che riportava, scritte a macchina, una data e una piccola dicitura.

12 giungo ‘54 - bocciato.

7 settembre ‘64 - espulso per tre giornate.

3 settembre ’61 - lasciato da Paola.

Dopo una ventina di etichette mi fu chiaro che questo signor Strato non collezionava scatole: collezionava i suoi fallimenti.

Presi una delle confezioni più piccole: 12 marzo ’59 - scazzottata con compagno di banco.

La aprii. Sentii, immediatamente, un fortissimo dolore alla mascella. Del sangue mi uscii dal naso e incominciai a piangere. Non si trattava di lacrime di dolore; erano lacrime di rabbia, di tristezza, di frustrazione.

Tamponai il sangue con l’avambraccio e mi asciugai le guance alla meglio. 

Mezzo stordito, presi una scatola più grande: 4 luglio ’73 - ultimo litigio con mamma.

La aprii. 

Le tempie incominciarono a battermi forte.

La fronte, madida di sudore, iniziò a bruciarmi.

Lo stomaco mi si chiuse di colpo con un tonfo sordo.

Un groppo in gola mi impedii di respirare ma non di vomitarmi sulla maglietta dei Metallica.

Le gambe cedettero.

Cercai un appoggio per non cadere ma le unghie, ormai entrate nella carne, mi impedirono di riaprire le mani per afferrare lo scaffale e, coi pugni serrati, caddi.

Le lacrime, uscirono ed entrarono dai miei occhi, bagnandomi contemporaneamente le guance e il cuore; cuore che ormai spingeva così forte da sentirne l’eco nelle orecchie.

Non so dirvi quanto mi ci volle per riprendermi.

So che passai un giorno e una notte ad aprire scatole, a soffrire, a rivivere tutti i piccoli e grandi insuccessi del signor Strato.

E scatola dopo scatola, fallimento dopo fallimento, mi sforzavo di capire cosa avesse spinto quest’uomo a collezionarli invece di liberarsene. 

All’alba del giorno successivo, con le ossa rotte e gli occhi che bruciavano, tornai in me. Non avevo più scatole da aprire né lacrime da piangere.

Forse quella collezione gli serviva, pensai.

Forse si era convinto che gli insuccessi –piccoli o grandi che siano- non vanno dimenticati, ma tenuti lì, affrontati.

Chissà come aveva chiamato quella sua collezione. Forse, consapevolezza.

Forse, coraggio.