Dove il mondo sembra spezzarsi, lì comincia a formarsi qualcosa di inatteso: la nuova forma nasce sempre dal punto di rottura.

B. Labatout – Quando abbiamo smesso di capire il mondo


Una Scuola come scelta politica.

Fondare oggi una scuola di psicoterapia è un atto di responsabilità politica e di cura. 

È un atto di disobbedienza gentile. 

In un’epoca dominata dalla logica lineare, della prestazione, della negazione della fragilità e dell’accelerazione verso l’intelligenza artificiale in ogni contesto della nostra vita, ecco che una scuola di psicoterapia sistemico-relazionale diventa un luogo in cui far crescere ed apprendere non solo un approccio clinico, ma uno sguardo complesso sull’Altro. Nella società contemporanea descritta come algofobica dal filosofo Byung Chul-Han (The Palliative Society, 2020), laddove un malessere psicologico cresce insieme ad una nuova invisibilità, troppe persone restano ai margini dei sistemi di cura, spesso privati della possibilità di accedere a percorsi terapeutici equi e continuativi. "L'inclusione inizia con un cambiamento di prospettiva" –affermava Franco Basaglia ne Le conferenze Brasiliane – "aprendo la mente alla complessità dell'altro, superando la barriera del diverso per accogliere la persona".

In questo scenario, formare nuovi psicoterapeuti significa assumersi anche una responsabilità sociale, in cui educare alla cura, relazione, contesto, cittadinanza. La cura non è un gesto privato, ma una scelta pubblica: è il modo in cui una società decide di prendersi responsabilità della vulnerabilità, della fragilità, dei legami che ci sostengono. Significa riconoscere che nessuno si salva da solo, che "esistere è sempre un’esperienza relazionale", scriveva Hanna Arendt ne La banalità del male. 

Attualmente l’offerta di formazione in psicoterapia è molto ampia, in Italia si contano almeno 350 scuole che frequentemente gestiscono più sedi, ma in questo oceano di proposte ricorre spesso solo l’idea della psicoterapia come atto e spazio solitario e privato, guardando meno al lavoro terapeutico nei sistemi di cura, alla dimensione collettiva dei cambiamenti del soggetto, alla rete e alla comunità. In un tempo di ingiustizia sociale e di problemi profondamente complessi, è necessario costruire risposte e collettive (Z. Bauman - Modernità liquida, 2000) e nutrire il tessuto connettivo tra tra clinica e politica.

Perché una Scuola sistemica.

Far nascere una scuola di specializzazione in psicoterapia sistemico-relazionale, significa scegliere di formare professionisti capaci di leggere la complessità del presente attraverso un'epistemologia relazionale, e non solo di applicare tecniche o tassonomie – seppur importanti – nella co-costruzione di diagnosi per sviluppare modelli di intervento appropriati. Il paradigma sistemico-relazionale permette infatti di collocare la sofferenza dentro reti più ampie: famiglie, istituzioni, organizzazioni, contesti di vita, comunità. È un approccio che riconosce il valore etico della relazione. 

La sofferenza non va isolata, va contestualizzata. Formare terapeuti sistemici significa formare professionisti capaci di leggere interconnessioni, equilibri dinamici, sistemi, perché “La vita si sostiene attraverso una trama di relazioni reciproche e nulla vive in isolamento" (F. Capra - The Hidden Connections, 2002)

Perché a Milano.

Milano non è solo un luogo geografico su una mappa: è una città che incarna un paradigma. È un osservatorio privilegiato sui cambiamenti della società contemporanea. È un centro di accelerazione sociale, economica, culturale: un luogo in cui si concentrano possibilità e fragilità, innovazione e margine, benessere e solitudine, sogni e contraddizioni politiche. 

Scegliere Milano significa scegliere di formare terapeuti dove la complessità è visibile, quotidiana, tangibile. Dove le istituzioni sperimentano, i servizi si riorganizzano, le comunità si trasformano. Significa scegliere un territorio attraversato da persone, culture, lingue, disuguaglianze, nuove forme di famiglia, nuove vulnerabilità, ma anche nuove possibilità. 

Perché Nivalis.

La scuola di specializzazione sistemico-relazionale nasce all’interno di Nivalis, Cooperativa sociale di Milano che da anni offre non solo supporto psicologico a minori, adolescenti e famiglie, ma che lavora soprattutto a sostegno di servizi socio-sanitari e della comunità.


Nivalis e i suoi professionisti hanno sostenuto équipe, costruito percorsi di supervisione, introdotto pratiche dialogiche, lavorato dentro contesti segnati da vulnerabilità sociali, culturali e organizzative.

È da questa esperienza che nasce l’idea di una scuola di specializzazione in psicoterapia che offra:

  • un lavoro sulle competenze cliniche, sulla conoscenza dei contesti istituzionali, sull'apprendimento della psicoterapia praticata nei contesti di cura e nella rete dei servizi;

  • uno sguardo capace di riconoscere la dimensione politica della cura e della sofferenza;

  • una postura clinica che cerca il dialogo nei sistemi, anziché adattarsi passivamente alla linearità dei processi.


In sintesi, ecco le sfide che la scuola di specializzazione in psicoterapia di Nivalis vuole assumere:

1. Cura, disuguaglianze e democrazia.

La psicoterapia è ancora oggi un servizio non equamente accessibile e sostenibile. Formare terapeuti che includano e non ignorino le forme di fragilità, psichiche e sociali significa anche contribuire a ridurre gap, ingiustizie e disuguaglianze sociali.

2. Terapia e responsabilità.

Se il malessere, la sofferenza, i sintomi sono connessi a un sistema allora occorre far germogliare nei terapeuti una responsabilità ecologica del territorio, delle città. Allo stesso tempo il pensare alla terapia come a una pratica di liberazione (Ignacio Martin-Barò - Psicologia della liberazione, 2018), non un tentativo di accomodamento alla società, restituisce ai pazienti protagonismo e responsabilità.


3. Portare i contesti e i margini al centro. 

Le sofferenze non nascono nel vuoto. Generazioni, famiglie, lavoro, scuola, servizi socio-sanitari, sistemi digitali: sono parte della cura. Compito dell’intervento psicoterapeutico è quello di integrare e dialogare con queste dimensioni, non ignorarle.

3. Ripensare e trasformare il ruolo delle istituzioni.

La cura non può essere lasciata alle individualità. Pensiamo alle istituzioni come luoghi potenzialmente inclusivi e generativi. La formazione ambisce a preparare terapeuti capaci di abitarle, trasformarle e costruire ponti.

4. Coltivare pratiche collaborative e dialogiche.

Il dialogo terapeutico non è una conversazione e non è solo una tecnica: è un atto clinico di cura. Restituire voce, distribuire potere, costruire significati condivisi: questo è il cuore della cura in una società complessa.